Contagiamoci di empatia

Il bene comune come antidoto contro mafie e altri virus


di Francesca Fortarezza

 

    Si parla tanto, in questi giorni, delle responsabilità dello Stato e delle colpe dell’Economia, di istituzioni miopi, lente o, peggio, reticenti, che si dimostrano inadeguate o disinteressate a gestire con consapevolezza la pandemia e i suoi effetti. Si parla di mancanza di volontà politica e di eccessivo opportunismo economico. Si parla, finalmente, di quelle crepe profonde che hanno disegnato i confini esterni ed interni delle nostre apparentemente infallibili società. E allora vengono a galla le storpiature di un sistema corrotto, privatistico e predatorio, di un sistema che, nel raccontarci la favola dello sviluppo e della supremazia dell’uomo su tutte le specie, ci ha lasciato fragili e soli di fronte a un esserino microscopico e invisibile.

    Invisibile, d’altra parte, non significa inesistente e tante sono le forze impercettibili che hanno plasmato più o meno direttamente la realtà in cui viviamo oggi, forze capaci di illuminare e accelerare le debolezze della nostra specie e delle nostre società. Una di queste forze è costituita dal network capillare della criminalità organizzata, che agisce nell’ombra, tra le pieghe di società frammentate e manifesta tutta la sua potenza e influenza per riflesso, laddove le istituzioni pubbliche e legittime inciampano e barcollano. Oggi, che le carenze di queste istituzioni si stanno rivelando in tutta la loro complessità e pervasività, i sintomi della presenza criminale si fanno più acuti, imponendoci una volta per tutte un’autoanalisi e una riflessione seria sulle premesse e le concause di questo stato di cose.

    In Brasile, dove lo Stato ha dimostrato una sfacciata indifferenza nei confronti delle misure precauzionali per il contenimento del Covid-19, i gruppi criminali hanno preso in mano la situazione, imponendo, chiaramente con la forza, il rispetto del distanziamento sociale e dell’autoisolamento all’interno delle favelas. In Centro America, dove le maras (organizzazioni criminali) hanno costruito un vero e proprio regime di terrore, fatto di estorsioni e omicidi, il pagamento della cosiddetta renta (quello che in Italia è il ‘pizzo’) è stato sospeso fintantoché la situazione non permetterà ai lavoratori locali di riprendere a pagare. Secondo le retoriche più diffuse, quindi, il crimine organizzato si sta facendo, di nuovo e con sempre maggiore ‘credibilità’, stato, mercato e banca, laddove questi organi si trovano spiazzati e spaventati di fronte alla minaccia della pandemia.

    La criminalità organizzata ha saputo rispondere alla crisi e ri-adattarsi ai nuovi limiti e alle nascenti opportunità con una rapidità e un’agilità impensabili per qualsiasi istituzione formale: è allora giusto e necessario chiedersi come ciò sia stato possibile. Come sia possibile che, in poche, pochissime, settimane di lockdown, le mafie abbiano già preso il controllo di prodotti di prima necessità, contraffatti e di contrabbando, come abbiano potuto farsi carico dei quartieri più deboli distribuendo la spesa a domicilio, come si ‘prendano cura’ di individui e imprese concedendo prestiti a interessi bassissimi e come abbiano potuto far leva su un disagio umano e sociale ormai consolidato per generare caos dentro le carceri e fuori dai supermercati.

    La criminalità organizzata si nutre di due elementi: lo sfruttamento della condizione di difficoltà in cui molti si trovano e la normalizzazione culturale di questo sfruttamento. Se come singoli individui, confinati nelle nostre case – quando una casa c’è – abbiamo poco margine di manovra per alleviare le difficoltà degli altri, a maggior ragione se strutturali e sistemiche, forse possiamo, e dovremmo, metterci in gioco sul piano della rivoluzione culturale delle nostre comunità. La consapevolezza, d’altra parte, è il primo passo per il cambiamento. Possiamo allora ripensare i nostri piccoli o grandi egoismi, le nostre più o meno gravi omertà, e innescare, magari, un effetto domino positivo, in cui sia il rinascimento dei valori – della comunità, della solidarietà e del rispetto reciproco e per se stessi – a trasformare istituzioni inefficienti, irresponsabili e corrotte… piuttosto che aspettare che siano queste a trasformare noi.

    Fondate sul prevalere dell’individualismo sul senso di comunità, dell’opportunismo sulla solidarietà e della furbizia sulla razionale emotività, le nostre società hanno prodotto cittadini autoreferenziali e apatici, cittadini che non riflettono sul senso della libertà, che è tale e piena solo se accessibile a tutti, né sul senso della condivisione, che ha bisogno di sacrifici da parte di ognuno per poter essere equamente apprezzata. Pensiamo, dunque, a quali valori hanno plasmato la nostra realtà e a come questi diano forma e forza a certe istituzioni piuttosto che ad altre. Pensiamo a come sia possibile che nelle società dei diritti democratici e liberali, nel momento del bisogno, siano le istituzioni irregolari a dimostrare maggior presa sulla società. Pensiamo a quanto labile è diventato il confine tra legittimo e illegittimo e a quanto poco disposti siamo a vedere l’illegittimità di certe nostre piccole azioni. Pensiamoci quando compriamo compulsivamente tutti i pacchi di farina al supermercato senza pensare a chi arriverà dopo e si troverà davanti uno scaffale vuoto. Pensiamoci quando sgattaioliamo fuori di casa per la grigliata di Pasquetta.

    Nella nostra società dilaga una disposizione morale a tollerare i comportamenti criminosi. Problemi di individualismo e di mancanza di fiducia nella collettività hanno portato a vedere con simpatia chi la fa franca e chi cavalca con furbizia i confini tra legale e illegale. Sciarrone, Sociologo presso l’Università di Torino, lo ha ribadito: nel nostro paese esiste uno scarto importante, drammatico, tra norme formali e pratiche accettabili, tra legale e legittimo1. Questo oggi è tanto più evidente laddove la legalità sta andando, comprensibilmente ma pericolosamente, a minare le libertà personali dei cittadini. Le misure di auto-isolamento e distanziamento sociale rischiano infatti di acuire quella perdita di empatia, la grande assente del nostro tempo, che ha reso i vicini di casa degli sconosciuti e gli immigrati degli invasori. Così come rischia di alimentare problematiche psico-sociali, familiari, di coppia, portando sempre più persone tra le braccia del crimine, che sia per procurarsi denaro, lavoro o sostanze che allevino questo disagio.

    L’ideologia neoliberista ha imposto a individui e società la logica del perseguimento dell’interesse personale con ogni mezzo, ma nell’abbandono del bene comune germina il seme della criminalità. Il Sociologo De Nardis, a questo proposito, trova nel concetto di anomia in punto di contatto tra egoismo personale e individualismo sociale. “Siamo di fronte alla coltivazione di una politica della solitudine e dell’egotismo, prevale la cultura di un ego nel senso di egoismo. Tutto ciò un tempo veniva derubricato, dal punto di vista della sociologia del diritto penale e criminale, come devianza amministrativa – cioè non adeguare la propria condotta ai comandi normativi – ma anche come anomia, cioè mancanza di valori condivisi. Stiamo parlando di corruzione ai danni del pubblico, che dovrebbe essere sacrosanto, prezioso e importante. Non se ne ha più la percezione”2.

    Questa chiusura individualista è stata giustificata e alimentata da modelli culturali e apparati istituzionali precisi, quelli neoliberisti, fedeli solo alla logica del profitto e della competizione. Nella perdita di fiducia nei confronti del pubblico e nella corsa alla privatizzazione, insomma, è andata sfumando la percezione di essere parte di una comunità. In questa privatizzazione si è persa, tra le altre cose, la sanità pubblica, martoriata dai tagli di budget e dalla corruzione. Si sono perse le protezioni sociali per i lavoratori, forzati ad accettare incarichi coercitivi e informali, e quindi costretti ad essere salvati per il rotto della cuffia con bonus-spesa e contributi emergenziali. Sono andate perse, più di tutto, le responsabilità dello Stato, non più garante della sicurezza dei propri cittadini bensì facilitatore degli interessi delle imprese e della finanza. Ciò che è rimasto è un “iper-individualismo scatenato che di fatto rende premiante soltanto l’egoismo e la furbizia che poi si sostanziano nella svalutazione dell’altro, dell’alterità”3.

    Questo il terreno fertile per il costituirsi di quelle aree grigie, di quelle nebulose come le chiama Sciarrone – in cui legale e illegale si confondono e i cui confini porosi e mutabili mimetizzano, ma non eliminano, una consistenza materiale reale e percepibile. Il sistema mafioso si infiltra dunque in aree grigie preesistenti ed è solo uno dei ‘vincitori’: tutti i partecipanti hanno qualcosa da guadagnare. A perdere è solo la collettività e le sue componenti più fragili e sole. Le mafie si insinuano nel disagio, umano e sociale, e da questo ricavano i loro maggiori profitti. Si insinuano nella precarietà dei lavoratori, nell’alienazione dei carcerati, nella solitudine dei tossicodipendenti, e in tutte quelle realtà di vita difficile. Quando lo stato si presenta vulnerabile e precario agli occhi dei suoi cittadini, il rischio è quindi che sia il mafioso, il criminale, a presentarsi come benefattore4. Forti dei capitali a loro disposizione e svincolate dai rallentamenti e dalle farraginosità delle burocrazie statali, le mafie sapranno comprarsi ancor più consenso, sociale, politico e culturale, ‘dimostrando’ che l’illegalità funziona meglio della legalità. Con rinnovata carica eversiva, questi apparati criminali assumeranno ancora di più i caratteri di una società, di chi ha il diritto e il potere di creare regole e istituzioni5.

    Oggi, che le istituzioni dello stato e del mercato si rivelano in tutta la loro limitatezza, la forza del cambiamento deve venire anche dai singoli e dalle comunità. Ciò è tanto più urgente se vogliamo evitare derive totalitaristiche e militaristiche della sicurezza che, per quanto possano apparire giustificabili in un momento di emergenza, di eccezione, costituiscono terreno fertile per derive illegali e illegittime, perché “il crimine organizzato moderno è incorporato nelle istituzioni e nelle professioni con cui interagisce”6. Lungi dall’accettare passivamente forme di controllo sempre più rigide e pervasive, che rischiano di favorire un uso criminoso delle risorse a favore di pochi, oltre a essere ormai troppo simili ai peggiori scenari distopici alla Orwell, dobbiamo trovare la forza e il coraggio di inventarci nuove forme di ‘controllo’. Un controllo orizzontale, paritario, basato sul rispetto reciproco e sulla valorizzazione della comunità, nella sua diversità e completezza. Affinché questo accada, serve una cultura della cittadinanza attiva e della responsabilità, dell’onestà e della competenza. Morosini, Magistrato al Tribunale di Palermo, ci dice questo – io credo – quando osserva che la partita in gioco non è solo contrastare le organizzazioni mafiose, ma salvare dei principi fondamentali del nostro paese7. Che la partita decisiva si gioca sul piano della prevenzione, che a sua volta si basa sulla ri-costruzione del senso di comunità e organica collettività, perché “nessuno si salva da solo!”.

 

Francesca Fortarezza è dottoranda in Scienze Politiche e Sociali presso Scuola Normale Superiore, ha 28 anni e vive a Firenze.

 

1 Avviso Pubblico, “Le Mafie nell’economia legale”, 9 Aprile 2020 [https://www.youtube.com/watch?v=9La9FYFcdDA].

2 Infosannio,”La legalità non è più un valore. Perciò la Lega non perde voti”, intervista al Sociologo De Nardis dell’Università di Torino, 13 Novembre 2019 [https://infosannio.wordpress.com/2019/11/13/la-legalita-non-e-piu-un-valore-percio-la-lega-non-perde-voti/].

3 Ibid.

4 Otto e Mezzo, intervista a Gratteri, magistrato e Procuratore Capo di Catanzaro, 1 Aprile 2020 [https://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/lallarme-di-nicola-gratteri-il-coronavirus-puo-essere-una-grande-occasione-per-la-criminalita-01-04-2020-317142?fbclid=IwAR34zRbbu1jTP3C1FvrwCwoLoPi310C4-y6MYPgzeBqNM2iRZ6msWK7oQvw].

5 Palmisano L., “Narrare le Mafie: come la criminalità organizzata si fa strada ai tempi del coronavirus”, 8 Aprile 2020 [http://www.comune.bologna.it/osservatorio-legalita/speciale-covid-19/?fbclid=IwAR09-lcZ4cGMTeZM1KJfshy_uPGgzvy97l5arEdc9sVFO2no11nW8tR2wK4].

6 Block A., “Organized crime: history and historiography”, in Kelly R. et al., Handbook of organized crime in the United States, Westport, Conn.: Greenwood Press, 1994, pp. 39-74.

7 Avviso Pubblico, “Le Mafie nell’economia legale”, 9 Aprile 2020.

 

Un pensiero riguardo “Contagiamoci di empatia

  • 21/04/2020 in 5:53 pm
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    Grazie, bella riflessione. Si tende poco a parlare di quella zona grigia che assorbe le diverse situazioni precarie – nel dibattito mediatico sembra ci sia sempre questa dicotomia tra la criminalità “cattiva” delle carceri (spesso, invece, caratterizzata anch’essa da dinamiche di potere interne alla criminalità stessa) e quella – sempre un po’ sfuggente – di politici e imprenditori. La tua riflessione ci ricorda, invece, proprio di questa criminalità quasi trasversale, che agisce dove non c’è comunità – o che a volte ne costituisce parte integrante quando la comunità diventa invisibile all’esterno.

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