Il corpo e il rischio

La chiave di lettura dell’attuale quotidianità si pone sotto il segno del “distanziamento sociale”, concetto che ha completamente mutato l’assetto dei rapporti sociali in nome del rischio. Ma esattamente, in cosa consiste questo rischio, e quali sono le sue implicazioni? Questa riflessione nasce alla luce di quanto accaduto negli Stati Uniti, dove i corpi di persone defunte a causa del covid-19 sono stati chiusi, nel più totale anonimato, dentro casse di legno,

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Giù, sulla via maestra della città

Secondo la tradizione il Buddha, in giovinezza, crebbe nelle stanze del palazzo paterno, avvezzo a ogni piacere. Un giorno, però, spinto dal desiderio di conoscere il mondo, chiese a suo padre di scendere in città. Il re, temendo che ne fosse turbato, diede ordine di sgomberare la via maestra, di scacciare storpi e accattoni perché il figlio non li vedesse. Ma gli dei, per spronare il principe, gli misero sotto gli occhi tre uomini: un vecchio, un malato e, infine, un morto. Solo dopo aver ricordato la sofferenza e la caducità che sono alla radice del mondo, il figlio del re decise, una notte, di fuggire dal padre e dal suo splendido e fasullo palazzo.

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Elaborare la crisi

Elaborare la crisi La riconfigurazione delle relazioni come antidoto al disastro di Anna e Francesca Argirò In questi giorni, chi legge cerca nei libri, negli articoli di giornale, nei post sui social, un conforto, una risposta, una prospettiva. Quel punto nella pagina in cui, alla descrizione dei fatti, al rammarico per le vittime, alle tristi previsioni, fanno seguito poche righe

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. . . Sotto l’ombra di un bel fior

La morte e io abbiamo una relazione di lungo corso. La sua presenza è costante nella mia storia e nei miei pensieri. Ecco perché, in questi giorni, ho l’impressione di cavarmela meglio di altri, probabilmente anche grazie all’abitudine che ho di vivere in condizioni di allerta costante, in uno stato d’assedio permanente, in balia di venti che sospirano l’incessante memento mori.

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Radicalizzare la quarantena

In un contatto – rigorosamente digitale – di questi giorni, un corpo amico in quarantena mi ha confidato una paura nuova, scaturita da questa condizione di isolamento: paura di avere un proprio tempo non più pubblico, senza compiti definiti, a difesa della propria incolumità, in qualche modo più libero ma, proprio per questo, inquietante. Condivido questa inquietudine, come credo molti di noi, e a partire da essa, consapevoli che potremmo essere approssimativi e poco lucidi, possiamo porci alcune domande sulla nostra condizione, sapendo che potrebbero rimanere senza risposta, così come i tracciati che apriremo senza poterli percorrere fino in fondo. Eviteremo le discussioni su non troppo definiti stati di eccezione, questioni mediche et similia, chiedendoci da dove proviene questo nuovo modo di vivere, di cui prendiamo atto, e se ci mostra qualcosa.

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Sulla corona (del soldato)

È certamente rischioso in queste ore, mentre la situazione evolve ancora a ritmo rapidissimo e gli animi di tutti sono così dolorosamente gravati, lanciarsi in considerazioni incerte sul modo in cui stiamo reagendo di fronte alla nuova pandemia. Mi metto però a farlo, spero ben conscio dei miei limiti e delle mie ignoranze, perché a colpirmi è anzitutto una cosa: il totale, monolitico, mi domando se poco ragionato assenso della gran parte di noi alle misure prese dal Governo e dal Presidente del Consiglio. Ho come la sensazione che di fronte all’emergenza la nostra capacità di ragionare si sia azzerata: ci limitiamo ad ubbidire passivamente, terrorizzati all’idea che la malattia possa cogliere noi o i nostri cari, incapaci di mettere in discussione quell’opinione che, lo diamo per scontato, è migliore della nostra in q…

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