#iononrestoacasa

Intervista a Yohana Ambros ed Elisabetta Angelillo


di Michele Proietti e Maria Paola Pizzonia

 

    La desolazione delle città di tutto il mondo è stata raccontata attraverso discorsi dai toni foschi e immagini impressionanti. Ci siamo trovati il vuoto e la stasi laddove meno ce lo saremmo aspettato (piazze, strade, stazioni); spettatori inerti, chiusi in casa a contemplare questo spettacolo post-apocalittico con una crescente sensazione di eerieness. Al riparo dal virus tra le quattro mura domestiche, non possiamo però sfuggire alla narrazione velenosa della pandemia-quarantena come “guerra”, ai toni concitati, ai continui allarmi – né tantomeno contrastarla efficacemente. Ma nel generale ribaltamento del mondo, una prospettiva alternativa, uno sguardo autonomo e “immune”, arriva, anche qui, da dove forse non ci saremmo mai aspettati.

    Yohana Ambros ha 29 anni, vive a Milano e in questi giorni non resta a casa, perché una casa non ce l’ha. Dal 15 marzo tiene un videodiario su YouTube [1] sulla sua esperienza del lockdown. Uniche compagne di strada Upa e Nina, le sue “bimbe” a quattro zampe, che invece sembrano apprezzare l’assenza degli umani e delle loro rumorose attività.

    Il “diario di bordo” di Yohana è un documento di grande valore etico ed estetico in quanto offre una inedita visione da dentro (e dal basso) in grado di scuotere le nostre certezze. Nel partecipare a questa visione non si è semplici spettatori: si è chiamati in causa, a ridiscutere le convinzioni proprie e collettive, a interrogarsi sul modo di concepire l’esistenza nelle sue componenti più elementari.

    Il 2 aprile ha pubblicato il primo tassello dell’Under Lockdown Project, in collaborazione con Koda Media [2]. Si intitola “Buonanotte” [3] ed è il primo di una serie di documentari realizzati in tandem con Elisabetta Angelillo che racconta l’era del COVID-19 dal punto di vista di una videomaker senza casa. Il progetto è un piccolo miracolo nato dall’incontro casuale (e a distanza) tra la creatività di Yohana e la solidarietà di Elisabetta e di altre persone che lo stanno supportando gratuitamente. A partire dal loro lavoro, abbiamo condiviso alcune riflessioni sulla quarantena, sul ruolo sociale e politico dell’arte e sulla condizione delle persone senza casa.

 

   In piena pandemia globale una videomaker di Milano e una di Roma entrano in contatto e iniziano a lavorare insieme per raccontare il lockdown da una prospettiva davvero eccezionale. Va bene che il Covid-19 ha cambiato molte cose, ma questa storia ha dell’incredibile. Ci spiegate com’è successo?

    Elisabetta Angelillo: Incontrare il canale YT di Yohana in questi giorni di quarantena è stato casuale ma non frutto di una ricerca a caso: dopo il centesimo videodiario di tagli di barbe e orti sul balcone e ricette di pane in pentola ho cominciato seriamente a soffrire di questo eccesso di prospettive ombelicali, che oltre ad avallare una mentalità che imperversa da anni (e sostenuta da molto cinema e letteratura), mi pare che non facciano che peggiorare ciniche pratiche di autoconservazione. Non ha aiutato la colonna sonora dei cosiddetti “balconisti”, con le casse a palla subito prima del conto dei morti al TG della sera; gli stessi che quando abbaiava il cagnetto della vecchia di sotto o correva col triciclo il ragazzino dell’appartamento accanto minacciavano denunce. Così ho trovato Yohana, che in questi giorni pericolosi non si può difendere, vive in strada con i suoi 2 cani e affronta da sola l’emergenza Covid a Milano: anche le città più organizzate non sono riuscite a fronteggiare la situazione e molti dei servizi preposti all’assistenza di persone in difficoltà sono stati ridotti o sospesi, rendendo le loro giornate ancora più incerte.

    Ho una piccolissima casa di produzione audiovisiva: siamo io e mio marito Gianfranco, che fa un altro lavoro ma mi aiuta nell’organizzazione, insegno ripresa video in licei romani per i progetti di alternanza scuola-lavoro e realizzo documentari. Per questo ho deciso di contattarla e le ho proposto una forma di collaborazione: lei mi manda le sue riprese e appunti di regia e io monto e finalizzo i video. Il lavoro che stiamo facendo insieme è prima di tutto un progetto di solidarietà professionale che ha potuto contare da subito sulla disponibilità di diversi professionisti: tra gli altri, i Mokadelic per la colonna sonora e il professor Andrew Rutt per la traduzione in inglese.

 

   Come è cambiata la città dall’inizio dell’emergenza?

    Yohana Ambros: La città in sé è cambiata in meglio: meno gente che scarica le proprie frustrazioni con terze persone, meno smog e meno clacson, meno stress a camminare con due cani di grossa taglia al fianco. Se parliamo invece della città di Milano riferendoci all’immagine della città internazionale, allora ovviamente è cambiata in peggio: meno turismo, meno occasioni lavorative (meno occasioni di rimettersi in carreggiata nel mio caso), meno servizi. (Tutti i servizi pubblici quali docce, dormitori, mense sono chiusi quindi si è costretti a sopravvivere in maniera quasi incivile: lavarsi di notte con l’acqua ghiacciata delle fontane pubbliche, dormire sotto i ponti e sotto i portici in luoghi appartati per evitare che la polizia ti faccia storie, mangiare solo quando un paio di chiese della città possono permettersi di lasciare un sacchetto dei viveri – altrimenti digiuno forzato).

 

   In questi giorni ci siamo abituati alle apocalittiche riprese aeree delle città deserte, immerse in un silenzio irreale. Vista dall’alto la vita sembra essersi fermata. Il tuo racconto è esattamente antitetico a questa rappresentazione, ribaltando la prospettiva. Cosa si può vedere soltanto “dal basso”?

    Y.A.: Dal basso si vede la vita che freme per rimanere tale. La sopravvivenza non solo fisica ma anche mentale: in questa desolante condizione di clausura è facile farsi prendere dal panico e perdere la lucidità per andare avanti.

 

   Quanto è importante raccontare da dentro le situazioni di emarginazione e di esclusione sociale?

    Y.A.: Non so quanto lo sia… Sarebbe importante la disponibilità della gente ad accettare punti di vista così fuori dallo schema imposto dal Sistema. Se manca quello allora che un punto di vista narrativo sia interno o esterno è poco rilevante.

 

   Il taglio del tuo lavoro non è strettamente documentaristico, anzi a tratti si fa intimo, poetico, e talvolta ironico e leggero. Allo stesso tempo però documenta in modo inedito una condizione drammatica, quella del lockdown, che riguarda miliardi di persone. Come si concilia il racconto della realtà con il racconto di sé? Come non farsi schiacciare dal peso della realtà?

    Y.A.: Cercando di usare la propria testa al meglio, spaziando dai ragionamenti maturi e consapevoli alle fantasie da bambini. Insomma rendere la propria mente abbastanza elastica da poter affrontare ogni realtà.

    E. A.: Yohana è una videomaker con una forte vocazione per il documentario, è capace cioè di esprimere attraverso le immagini il suo punto di vista, rendendo partecipe lo spettatore di un racconto che non si limita a registrare i fatti con il distacco necessario al reportage giornalistico, ma aggiunge alla realtà il filtro del suo sguardo. E questa definizione si avvicina molto alle riflessioni correnti sul genere documentario. Colpisce inoltre che nonostante la situazione difficile, con il solo telefono e una piccola action cam (ne servirebbe una nuova però…), Yohana non si arrende e va avanti con tanta passione per il suo lavoro.

 

   In questo momento la condizione di chi non ha una casa è paradossale. Più di 50.000 persone in Italia non hanno la possibilità di ripararsi dal contagio né tantomeno di rispettare le misure di contenimento. In più i servizi a loro dedicati sono in seria difficolta per carenza di volontari, di fondi e di indicazioni su come gestire l’emergenza da parte delle autorità. Alcuni sono stati addirittura multati per essere stati trovati in strada “senza comprovate eccetera eccetera”. In una condizione simile si trova chi è in carcere, chi vive nelle baraccopoli e molti altri gruppi segregati. Siamo tutti indignati per questo, ma che cosa significa viverlo sulla propria pelle?

    Y.A.: Significa avere la fortuna/sfortuna di conoscere la realtà della vita umana, aprire realmente gli occhi sulla verità dei fatti: che non è la povertà a far male. Significa non illudersi ma sognare. Significa combattere ma non ferire. Significa avere la possibilità di decidere se andare avanti o fermarsi.

 

   Improvvisamente le persone senza casa sono finite al centro dell’attenzione mediatica e pubblica. A cosa pensi sia dovuta tale attenzione? Ti ritrovi nella rappresentazione mediatica delle persone senza casa?

    Y.A.: Non mi meraviglio. Sono tutti chiusi in casa. Rimangono solo i clochard in strada, quindi direi che non si ha molta scelta… Comunque non mi ritrovo nella rappresentazione mediatica delle persone senza casa. Spesso i senzatetto sono dipinti come dei miserabili arresi alla vita oppure come degli alcolizzati senza ambizioni. Ad ogni modo come degli individui a cui donare, spinti dalla pietà o dal proprio bisogno di autoaffermazione, cibo e vestiti mantenendoli in maniera statica in strada. È raro, per esempio, riuscire a trovare qualche banchiere o direttore che vede il clochard come un potenziale dipendente della sua azienda…

 

   Alle persone senza casa spesso non viene riconosciuta soggettività e umanità. Anche i servizi di supporto si concentrano sulla dimensione materiale, necessaria ma non sufficiente alla vita umana. In uno dei tuoi video c’è una scena che mi ha colpito molto: in una delle ceste sospese dove la gente lascia viveri per chi ne ha bisogno trovi un libro, Una donna in bilico di Lucía Etxebarría. Qualcuno si è ricordato che gli esseri umani non si nutrono soltanto di cibo; che la vita umana non è riducibile alla mera conservazione del bios. Che valore ha un gesto del genere? Pensi che l’emergenza abbia reso più consapevoli le persone rispetto a chi e più svantaggiato?

    Y.A.: Se devo essere sincera non credo che gli artefici delle ceste sospese abbiano pensato ai clochard: basti pensare che spesso erano presenti pacchi di pasta e libri per bambini (… i clochard non possono certo cucinare la pasta 😀 ). Credo che l’obiettivo fosse arrivare a dare un minimo di respiro alle famiglie che devono sedersi attorno al tavolo e fare i calcoli per risparmiare il più possibile e arrivare alla fine della crisi con dignità.

    Non penso che questa emergenza insegnerà molto… la storia ce lo racconta: pandemie, guerre, crisi economiche ci sono sempre state ovunque. Eppure la società non è cambiata, la mentalità è sempre la stessa e il pensiero comune omologato ed influenzato dai media… Non voglio essere pessimista, anzi! Io spero di sbagliare, ma ora come ora direi che guardando indietro fino ad oggi le cose non sembrano confortare.

 

   Il tuo lavoro e la tua storia suggeriscono che l’arte e la creatività siano, oltre che linguaggi espressivi e canali di comunicazione, anche spazi di resistenza e occasioni di riscatto, soprattutto in momenti di difficoltà. Il tuo racconto ha una sua lirica, ma anche se si sente un certo romanticismo nel descrivere queste realtà crude, la denuncia che c’è sotto appare evidente e non perde la sua forza. Il tuo è un messaggio con una caratterizzazione politica

specifica o una denuncia, una critica sociale, uno spunto di riflessione?

    Y.A.: Non posso permettermi, dalla posizione in cui mi trovo, di denunciare, di fare politica o di criticare. Posso, al momento, solo raccontare un’esperienza, esprimere un’opinione e cercare di far riflettere più gente possibile, più generazioni possibili (ecco perché i video forse risultano poetici, a volte divertenti o creativi) su un aspetto che è lì. Proprio lì. Basta guardare in basso giusto il tempo di porsi delle domande. Il mio è un messaggio di comunicazione tra più parti possibili, scambio di idee fra più esperienze pensabili ad uno scopo comune: migliorare. Un maestro di meditazione, durante una sua conferenza definì l’essere umano come un animale dinamico. Un animale naturalmente in evoluzione. E questo dovrebbe essere lo scopo comune. Evolvere, ma evolvere in meglio. Quindi migliorare.

 

   Una privazione che accomuna molte persone che si affacciano al futuro, e che ancor più oggi – in una situazione di emergenza sanitaria globale – sembra essersi allargata a tutti quanti, è la mancanza di prospettiva, la sensazione che non ci sia spazio effettivo per “sognare”. Il tuo racconto, stante sia (passami il termine) di un realismo affilato, lascia un retrogusto che sembra contraddire questa affermazione. Hai dei progetti, sogni, che hanno avuto la forza di resistere a questa realtà che racconti?

    Y.A.: Ho un sogno che mi tormenta da quando avevo 8 anni, con l’uscita in sala dell’adattamento cinematografico de Il Signore degli Anelli di Tolkien, diretto da Peter Jackson: diventare una brava regista cinematografica e da un vecchio teatro o cinema all’estero, tirare fuori una casa di produzione cinematografica affermata da chiamare Il Mulino, che macini film di vita reale con un pizzico di magia e che renda il tutto fruibile a persone di tutte le età (film sullo stile de Il favoloso Mondo di Amélie, per avere un minimo di orientamento), a livello internazionale. È un sogno ma anche un progetto di vita.

 

   In conclusione: c’è qualcosa che speri venga fuori dal tuo lavoro? Sia come reazione dello spettatore, risveglio di coscienze, che come crescita personale?

    Y.A.: Come reazione mi piacerebbe che la gente cominciasse ad avere meno paura di vivere e della povertà. Come crescita personale… magari che il mio lavoro possa essere un buon materiale da inserire nel portfolio per occasioni di lavoro nel settore cinematografico internazionale.

    E.A.: I video che stiamo realizzando con Yohana spero possano diventare per lei una opportunità per ripartire e trovare il suo giusto posto nel mondo. Per questo stiamo partecipando ad un piccolo contest sui racconti di Covid promosso da National Geographic: cerchiamo di costruire insieme delle possibilità concrete perché possa cominciare a fare il suo lavoro. Ci piacerebbe che una scuola di cinema le offrisse una borsa di studio per completare la sua preparazione, ci piacerebbe che qualcuno guardando il suo girato le chiedesse un primo piccolo lavoro e ci piacerebbe, in attesa di tempi migliori, ricevere una mano per affrontare questi giorni, per fare la spesa, per il richiamo del vaccino ai cani. Siamo partiti così, vediamo che succede …

 

[1] https://www.youtube.com/channel/UCn6UU-U0nXr3RQOXSvvp5gw

[2] https://it-it.facebook.com/KodaMedia

[3] https://www.youtube.com/watch?v=Gnn9ZAF0bGU

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