Sanità in salsa lombarda

Guardando ai dati di questi tre mesi di epidemia qualcuno si è chiesto se non fossimo davanti a due epidemie differenti: una in Lombardia e l’altra nel resto del Paese. Anche dopo tutte le “normalizzazioni” possibili (quando si cerca di eliminare fattori di “annebbiamento” per poter paragonare i dati in modo da renderli più ‘significativi’), i numeri e le curve della Lombardia restano diversi da quelli di tutte le altre regioni: la seconda regione (dopo la Val d’Aosta) per diffusione del virus

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Il picco alle nostre spalle (ma lo sapevamo da un mese)

Il 21 febbraio, venerdì, mi raggiunge la telefonata di una mia vecchia amica, giornalista. “Maurizio, ma tu come la vedi questa storia del Coronavirus?” “Un’influenza, un po’ più cattiva.” “Si vede che non leggi i giornali. Sta per scoppiare l’apocalisse.”. Avevamo ragione entrambi, probabilmente. Proprio quel giorno 14 persone a Codogno e 2 persone a Vo’ Euganeo, a distanza di 200 km le une dalle altre, risultano positive al test. Fino a quel momento sembrava una cosa ‘cinese’: i due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani e un italiano rimpatriato dalla Cina. Basta. Tre casi in tre settimane. Ma le cose non stavano così.

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