Autocertificazione Standard

di Matteo Bassetti

 

Tra il 1982 ed il 2015, lo Stato italiano ha portato avanti una campagna di sterilizzazione coercitiva di massa contro le persone trans. Per quarant’anni, per poter rettificare i propri documenti e poter avere il proprio genere riconosciuto ufficialmente, le persone trans si sono dovute sottoporre ad una sterilizzazione chirurgica completa. Dal 2015 non siamo più costretti alla sterilizzazione forzata, ma le condizioni di riconoscimento di una persona trans in quanto tale continuano ad essere determinate dalla volontà e capacità di una persona a sottoporsi a dei trattamenti medici coercitivi, oltre che a provare a adattarsi a degli stereotipi di genere ben definiti. Oggi, per poter intraprendere un percorso di transizione di genere, siamo costretti ad accettare di essere soggetti ad un sistema di sorveglianza sociale, medica e giuridica del genere.  

   Lo Stato italiano non prevede l’esistenza di persone al di fuori del binarismo di genere, motivo per cui ha imposto un sistema la cui biopolitica vuole assicurarsi che ogni individuo sotto la propria giurisdizione rientri all’interno di uno dei due generi binari. Per accedere alla transizione medica, io, come d’altronde la maggior parte delle persone trans in Italia, mi sono dovuto sottoporre ad un processo di diagnosi psichiatrica di disordine dell’identità di genere. Secondo questo sistema ogni persona deve appartenere ad un prestabilito genere: le nascite di bambini intersessuali vengono cancellate dai registri e dalla consapevolezza collettiva, mentre questi vengono forzati in una categoria di genere decisa in modo completamente arbitrario. Sempre sulla linea di questo schema, le persone trans vengono patologizzate, e classificate come recipienti della diagnosi psichiatrica di ‘disordine dell’identità di genere’.

   Anche conosciuto come diagnosi numero 302.8, nella classificazione internazionale delle malattie, il disordine dell’identità di genere è un disordine in cui non credo, nonostante possa essere allettante talvolta pensare di essere sbagliati. Tuttavia, sono convinto che la classificazione sia, ovviamente, profondamente discriminatoria – definire uno degli aspetti più importanti di una persona una malattia psichiatrica ed un disturbo del comportamento è profondamente umiliante.

 

   Per ottenere questa diagnosi psichiatrica, volta a definire uno degli aspetti fondamentali del mio essere una malattia, ma comunque al momento un ‘compromesso’ (parola che in questo contesto dà il voltastomaco) per me necessario, mi sono dovuto sottoporre ad un lungo processo durante il quale ho dimostrato di aderire a certi comportamenti e stereotipi di genere. Per sei mesi ho dovuto completare quello che gli psichiatri definiscono real life test, o “test della vita reale”. Sei mesi in cui ho dovuto dimostrare a un’autorità di essere in grado di interpretare un ruolo maschile all’interno di questa società. Sei mesi in cui ho dovuto dimostrare, sotto sorveglianza, di poter essere definito abbastanza uomo, e di seguire in modo corretto i ruoli e gli stereotipi di genere prescritti. Alla fine di questo processo sono riuscito ad ottenere la patologizzante ma salvifica diagnosi, e ad avere accesso alla terapia ormonale sostitutiva. Lo psichiatra, carte alla mano, ha decretato il mio effettivo stato di trans. In tutto questo processo, sono rimasto oggetto di analisi ed osservazioni, ma non ho mai ottenuto il permesso di divenire soggetto attivo della mia storia.

Il riconoscimento del genere legale delle persone trans in Italia può essere ottenuto solo dopo ulteriori anni di sorveglianza medico-legale, passando da un tribunale. Un giudice deve stabilire che la persona in questione è effettivamente trans, e che è disposta a seguire i ruoli di genere prescritti dalla società in modo non sovversivo.

 

   Come prima accennato, per essere riconosciute davanti alla legge, fino al 2015 le persone trans sono state costrette a cedere una parte fondamentale della propria integrità corporea. Hanno dovuto accettare la sterilizzazione chirurgica e dunque l’impossibilità di avere una vita riproduttiva. In questo modo, lo Stato ha determinato la condizione fondamentale per poter accettare una persona trans: la sua incapacità di riprodursi.

   Oggi continuiamo a dover cedere una parte significativa dei nostri diritti, e continuiamo a sottoporci a trattamenti medici coercitivi. Per i primi anni della mia transizione, sto accettando di non avere un documento d’identità che rappresenta il mio genere ed il mio nome. Questo limita in modo significativo la mia libertà di movimento. In ogni situazione in cui devo mostrare un documento, devo allegare una spiegazione. Nel mio caso, in quanto persona che vive al di fuori dei confini del genere, devo spiegare perché sul documento ho una grande F, ed un nome stereotipicamente femminile. Devo anche scegliere in quali paesi mi sento a mio agio nell’oltrepassare una frontiera portando con me questa discrepanza tra aspetto e documenti.

 

   Con la quarantena, anche le persone cis (non trans) hanno iniziato a dover giustificare la loro presenza in un luogo, i propri spostamenti e semplicemente la loro esistenza. Il controllo dei corpi è stato istituito per la popolazione generale, informazioni riguardanti il loro status di salute sono considerate di interesse pubblico.

   In questo periodo, le limitazioni imposte sono in buona parte giustificate da un’emergenza sanitaria globale. Per questo motivo la libertà di movimento è stata ristretta, le persone vengono sottoposte a procedure mediche quali la misura della temperatura in modo talvolta coercitivo. Il motivo di tali limitazioni è chiaro, definito, presente.

   Riflettendo su queste limitazioni e sul concetto di integrità personale e corporea, mi rimane il dubbio: per quale motivo concreto e tangibile i miei diritti in quanto persona trans sono limitati? In questo periodo, la sorveglianza medica è giustificata da un obiettivo specifico. La mia sorveglianza invece, è giustificata? Da cosa è stata giustificata la sterilizzazione in massa delle persone trans per quarant’anni?

 

Matteo Bassetti si occupa di Diritti Umani della Comunità LGBTQ+, ha 24 anni e vive a Roma.

 

Un pensiero riguardo “Autocertificazione Standard

  • 01/05/2020 in 4:01 pm
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    Voglio ringraziare Matteo Bassetti per l’intervento. Mi avevano parlato a grandi linee di come avviene il trattamento ormonale alcune persone che stavano pensando di iniziarlo… Non avevo mai riflettuto sul fatto che a tutte le difficoltà bisogna aggiungere la questione giuridica, la discriminazione istituzionale e quindi l’impatto sulla libertà di circolazione… La sterilizzazione forzata fino al 2015… Sicuramente andrò a leggere qualche articolo in merito. Se avete suggerimenti, commentate.

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