Caminante, no hay camino…

di L’antivirus

 

Domani, 4 maggio, avrà fine la cosiddetta “fase 1”, e avrà invece inizio la tanto agognata “fase 2”. Con la fine della “fase 1”, è giunto il momento di fare un primo bilancio di ciò che L’antivirus è stato; e ancor di più, di rivolgerci al futuro, di riflettere su ciò che L’antivirus potrà, nei prossimi mesi, diventare.

 

Quando, il 6 aprile scorso, L’antivirus incominciava la propria attività, fondamentalmente due erano gli obiettivi che esso si prefiggeva: da un lato, quello di far nascere un dialogo aperto, approfondito e intergenerazionale intorno alla crisi coronavirus; e dall’altro, quello di coagulare un gruppo che alle conseguenze di tale crisi potesse, un giorno, nel proprio piccolo rispondere.

In primo luogo, dunque, L’antivirus nasceva come risposta a quella “assolutizzazione” delle misure di lockdown di cui Carmine ci parla nel suo articolo:

 

    Si tratta di chiarire che il lockdown, come è evidente a chiunque rifletta, può essere una indicazione di natura tendenziale, ma non è una strategia perseguibile in assoluto, quanto meno in contesti caratterizzati da uno stile di vita che si ispira ai valori della libertà individuale e della democrazia. Nelle situazioni concrete, occorre fare una valutazione comparata dei costi e dei benefici che ogni singola stretta comporta. In particolare, ne vanno governati il dosaggio e la durata. E invece, tra le pieghe di una crisi che si è fatta via via più tragica, abbiamo assistito a una assolutizzazione del lockdown. In questo modo il Governo e la maggioranza, nel drammatico contesto politico di una legislatura caratterizzata da una endemica e perdurante crisi di rappresentanza, hanno potuto presentare le scelte difficilissime che dovevano e devono compiere come una necessità oggettiva.

 

Questa assolutizzazione, l’idea che le misure prese dal Governo fossero necessarie e indiscutibili in quanto dipendenti dalla natura oggettiva del virus, aveva distrutto ogni possibilità di critica e di dialogo. Ora: sotto questo profilo, noi siamo dell’avviso che L’antivirus abbia raggiunto il proprio obiettivo. Esso è riuscito, infatti, a discutere e a sottoporre a critica quelle misure, in molte delle loro sfaccettature e da molte prospettive, assai differenti le une dalle altre. E dunque a questo punto diventa lecito domandarsi: ha ragione ancora di esistere, L’antivirus? La risposta, verrebbe da dire, è no. Non solo infatti esso ha raggiunto, almeno in parte, il proprio obiettivo; ma soprattutto, la situazione esterna è profondamente mutata: il lockdown, se da un lato ha incominciato ad allentarsi, dall’altro sembra dover assumere proporzioni temporali prima impensabili; il dibattito politico ha finalmente ripreso un po’ di vigore, seppur rivolgendosi solo alle prospettive future e senza mai discutere le misure adottate finora; il virus stesso, soprattutto, pare a tutti noi meno minaccioso, tenuto un po’ più a bada, rispetto a un mese fa. Come “risposta immunitaria” vincolata al morbo che la causa, L’antivirus potrebbe smettere di esistere.

A ben guardare, però, dobbiamo domandarci: di quale virus stiamo parlando? A quale virus L’antivirus voleva, in realtà, rispondere?

Il lettore attento avrà notato che fra i nostri articoli non figura un solo lavoro di virologia o epidemiologia, un solo lavoro di carattere tecnico-scientifico. La ragione di ciò sta nel fatto, sconcertante e amaro, che il vero virus non è là fuori, in quel fuori che così tremendamente ci terrorizza: esso è, e già da molto, dentro di noi. Il virus di cui parliamo è il virus del pensiero, e dell’azione, umana. Il virus di una società deforme, ingiusta, infelice. Esso è oggi massimamente evidente, e più pericoloso che mai; ma già da decenni operava, sebbene a volte nel più assordante dei silenzi. Detto altrimenti: in discussione non è solo, e non è tanto, quanto letale sia il coronavirus, quanto rapidamente si diffonda, quanto resistente sia al calore o ai più disparati disinfettanti. In discussione è come dobbiamo e dovremo comportarci di fronte ad esso; e soprattutto, come potremo far sorgere, a partire da esso, un mondo diverso, immune a tutti quei virus così tragicamente umani che già da decenni affliggevano le nostre vite. Ed è qui che entra in gioco il secondo obiettivo de L’antivirus: l’obiettivo, cioè, di creare un gruppo che possa far fronte alle conseguenze della crisi coronavirus. Perché a ben guardare, la crisi coronavirus è di così vasta portata, che far fronte alle sue conseguenze non significa altro che questo! Che operare nel mondo, e talvolta contro il mondo, per trasformarlo. Ora, siamo riusciti in queste settimane a creare quel gruppo cui sin da principio facevamo riferimento? Sì, e no. Più che un gruppo, bisognoso di assai maggiore integrazione e famigliarità, quel che abbiamo creato è un campo di interazioni, e un campo di possibilità: un insieme ancora slegato di persone, tutte però unite dal bisogno di riflettere sul mondo, e di trasformarlo. Ecco dunque perché L’antivirus deve continuare a esistere: perché è solo a partire da ora, che questo insieme potrà diventare un gruppo; solo a partire da ora, che tale gruppo potrà iniziare ad agire, mettersi seriamente in cammino.

“Mettersi in cammino”, abbiamo scritto. “Mettersi in cammino”, perché il nostro pensiero continuamente torna a quel celebrato verso di Antonio Machado: camminante, non c’è per te un cammino. È questa la condizione in cui ci troviamo; e forse la condizione in cui tutti, nel mondo, oggi si trovano. Non sappiamo bene dove stiamo andando. Non sappiamo bene neanche come ci andremo, lì dove stiamo andando. Ma sappiamo che non abbiamo altra scelta che camminare. Con una differenza però, con una particolarità: che non cammineremo soli, e senza mai sfiorare il mondo che ci circonda. Cammineremo insieme; e tenteremo di ricomporre, ovunque andiamo, le macerie ai lati del sentiero.

L’antivirus sospende, oggi, le proprie attività; non ha più senso, nella forma avuta finora. Ma tutti voi, nostri amici, lettori, autori, aspettatevi nostre nuove: L’antivirus andrà avanti. Tutti insieme, alziamoci dalle sedie che troppo a lungo hanno trattenuto tanti di noi. Tutti insieme, cambiamo il senso di quel cammino imposto e infelice che abbiamo spesso tollerato. Tutti insieme, incominciamo a camminare.

 

Susanna Acchiardi, Giorgia Alazraki, Tullio Ancora, Matilde Buzzi, Camilla Caglioti, Valerio Canonico, Ginevra Anastasia Caponi, Flaminia Carocci, Enrico Caroli Costantini, Mattia Cassalini, Adriano Cava, Martina Cavazza, Elena Cerqua, Pietro Colaiacomo, Francesco Contel, Carmine Donzelli, Orlando Franceschelli, Luca Ippolito, Giuseppe Lanciano, Bianca Lazzaro, Alberto Monte, Bruno Montesano, Angela Norelli, Andrea Prizia, Michele Proietti, Viviana Pungì, Niccolò Fettarappa Sandri, Filippo Sirianni, Tullio Edoardo Rocca, Gianluca Tatarelli


Un pensiero riguardo “Caminante, no hay camino. . .

  • 20/05/2020 in 6:48 am
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    So di esistere perché mi riconosco negli occhi degli altri. Di questo tempo sospeso porteremo, conserveremo traccia, diventerà fertile memoria? Com-prendere non è sempre facile, condividere è spesso un pensiero, un modo di vivere altrettanto faticoso. Forse sarebbe necessario com-patire, per ritrovare la forza della com-passione, per tracciare il sentiero da seguire insieme, da veri com-pagni. Un piccolo passo alla volta, guardandosi negli occhi, percependo il sé nel profondo dell’anima che ci sta affianco, alimentandosi del respiro comune delle emozioni, coscienti perché desiderosi di conoscere e conoscersi. Insieme, memoria e desiderio di ritrovata umanità. Essere, esseri fragili, visionari consapevoli del valore del limite, del nostro infinitesimo tempo. Come tempo che scorre, come goccia di rugiada che diventa fiume, si trasforma in mare, in oceano, dove perdersi e ritrovarsi, e ad ogni incontro raccontare della stupefacente bellezza del cosmo. Grazie per avermi dato la possibilità di incontrarvi.
    Lorenzo Raspanti

    Risposta

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