Il ponte tibetano della scuola

Appunti sparsi di una professoressa

di Antonella Fucecchi Rankoussi

 

   In poco più di un mese il mondo della scuola, o meglio il Covid, ha partorito con la didattica a distanza la cosiddetta rivoluzione digitale sostenuta dal Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) e mai veramente passata alla fase operativa. La pandemia ha avuto effetti di accelerazione o sblocco di processi stagnanti sotto il fuoco di fila di decreti, note e circolari, che vale la pena di passare brevemente in rassegna qui almeno nelle parti di interesse.

    Il 4 marzo 2020, tramite DPCM, si decreta la sospensione di tutte le attività sociali, culturali e ricreative al fine di prevenire la diffusione del Covid-19, compresa la didattica nelle scuole di ogni ordine e grado e incluse dunque le Università e gli Istituti di Alta Formazione; con però una nota a margine: “ferma in ogni caso la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza”, riferite agli ultimi gradi della formazione e non propriamente alla scuola.

    La nota prot. n. 278 del 6 marzo menziona modalità di apprendimento a distanza e istituisce una sezione del sito del Ministero intitolata “Nuovo Coronavirus”, nella quale è possibile avvalersi da un lato di suggerimenti pratici per avviare una attività ancora comunque opzionale, e dall’altro di strumenti di supporto, accompagnamento, formazione e assistenza.

   L’importante passaggio che trasforma la didattica a distanza in una prassi non più opzionale, ma necessaria e perciò obbligatoria, è esplicitato nella nota prot. n. 279 dell’8 marzo che, estendendo la sospensione fino al 3 aprile, fa riferimento all’esigenza di attivare la didattica a distanza per tutelare il diritto costituzionalmente garantito all’istruzione e assicurare la continuità dell’azione didattica.

      La nota prot. n. 388 del 17 marzo 2020 è un documento ponderato che specifica indicazioni operative nell’ambito di una più definita cornice di senso; l’intento è disciplinare le attività approntate con urgenza e dare ad esse, a posteriori, una giustificazione e una forma. Significativo il richiamo alla comunità educante e al compito di “fare scuola”, ma non “a scuola”. La didattica a distanza risponde a due esigenze: da un lato l’esigenza di mantenere viva la comunità di classe e di scuola, e il senso di appartenenza a questa comunità; dall’altro, l’esigenza di non interrompere il percorso formativo e la trama di rapporti che unisce docenti e studenti costretti ad affrontare una sfida inedita.

    Il testo esprime una visione pedagogica che coniuga crescita culturale e crescita umana e relazionale. Si affronta sia il tema delle diseguaglianze legate al divario tecnologico e sociale che caratterizza scuole fortemente differenziate sia il tema della riformulazione del progetto didattico e della valutazione intesa come valorizzazione del percorso compiuto. Una particolare attenzione è rivolta agli alunni con disabilità e agli alunni BES (Bisogni Educativi Speciali), ed è prevista anche la possibilità, da parte della scuola, di fornire dispositivi tecnologici in comodato d’uso ad alunni provenienti da nuclei familiari fragili. L’ultimo documento, definitivo, è il Dl. n. 22 dell’8 aprile, che fornisce disposizioni circa lo svolgimento degli esami e la validazione dell’anno scolastico.

       Il sito Indire pubblica il 4 aprile il testo La scuola fuori dalle mura. Una riflessione sulla didattica a distanza, seguito, il 9 aprile, dalla Mini-guida per docenti su didattica a distanza e diritti degli studenti. Con questi due documenti, il Ministero ha dato robustezza e fondamento teorico più solido ad un orientamento imboccato in modo poco consapevole. Questa rapida rassegna tratteggia la situazione che le comunità scolastiche stanno cercando funambolicamente di gestire nella fase più critica mai vissuta dal mondo dell’istruzione.

 

   Distanti ma uniti?

      Alla luce di tutto questo, sorge una domanda inevitabile: è davvero necessaria questa didattica? La risposta non può che essere affermativa: attualmente è l’unica modalità praticabile al fine di garantire il diritto all’istruzione e di mantenere un rapporto con la comunità scolastica, annichilita dalla chiusura e dal brusco recidersi di tutte le trame dei rapporti in presenza attivi fino al 4 marzo. Tutti i soggetti della comunità scolastica sono coinvolti: i dirigenti, i docenti, il personale ATA, le segreterie, gli studenti e le famiglie.

     In questa congiuntura è prioritario ristabilire la continuità del rapporto e la prosecuzione del percorso formativo nelle sue componenti cognitive ed affettivo-relazionali. La didattica a distanza è una didattica che accorcia le distanze e garantisce l’unica forma di vicinanza possibile in tempi sospesi: l’eccezionalità del periodo di letargo collettivo che paralizza la quotidianità ci costringe ad imprimere a tale quotidianità una traiettoria diversa, per stare in casa ma con la mente aperta. La scuola ha bisogno di non perdere il filo, deve continuare a tessere le relazioni, a guidare i processi di apprendimento tenendo il timone di una navigazione sempre più incerta. Mantenere la rotta mentre si naviga insieme in acque sconosciute è il supplemento di responsabilità di questi mesi. Non si lasciano i ragazzi soli in simili frangenti: si costruisce un ponte tibetano che, per quanto vacillante e malsicuro, eviti il prevalere del disorientamento.

     Detto questo, rimane fermo che le video-lezioni e le altre attività in modalità sincrona o asincrona hanno una finalità motivazionale, di rinforzo e sostegno. Ma non è possibile trasferire in ambito virtuale le pratiche didattiche adottate nella didattica in presenza, perché il contesto è radicalmente mutato. Gli studenti hanno il diritto di non essere sommersi da quantità esorbitanti di slide o power point, così come occorre limitare anche un certo protagonismo docente; perché nessun effetto speciale coglierà nel segno se non è accompagnato da una illustrazione animata della voce narrante, dal linguaggio del corpo e dalla gioiosa impressione di fare una grande scoperta insieme.

    Non siamo a scuola, non abbiamo uno spazio e un tempo condivisi: saltano le ritualità, le abitudini che trasformano la lezione in un’esperienza di crescita umana sia per il docente che si coeduca, sia per gli studenti in età evolutiva. Vengono a mancare la mimica facciale, il gioco di sguardi, le inflessioni significative della voce, le battute, la prossemica, in una parola il clima che abbiamo dato sempre per scontato. L’interazione via computer avviene in contesti differenti, all’interno di mura domestiche in cui gli adolescenti e i loro familiari vivono una stasi forzata. E anche per il docente mutano scenario e modalità di trasmissione: le video-lezioni durano 50 minuti al massimo inclusi i tempi di accesso e connessione (spesso lunghi e imprevedibili), e hanno andamento incerto proprio in merito al feedback che proviene da dietro gli schermi neri, neri perché la connessione non regge: o parte il microfono, o parte la telecamera.  Questi appuntamenti mattutini scandiscono le giornate e illudono che si possa andare avanti lavorando senza guardarsi.

       Anche le relazioni fra docenti sono cambiate: il contatto è assicurato dalle chat e dai contrasti nella ridefinizione dei calendari delle video-lezioni, mentre si danza il balletto delle piattaforme e delle aule virtuali. Sono condizioni di lavoro inedite ed in parte frustranti: la scuola a distanza non è vera scuola, ma un surrogato che non può, in alcun modo, diventare una nuova normalità, né essere trattata “come miraggio di una futura scuola” (Franco Lorenzoni).

 

   Le criticità

         Se si vuole però affrontare correttamente la questione, occorre metterne in evidenza le numerose criticità:

– l’emersione delle diseguaglianze già esistenti, che la distanza finisce per esaltare: la presenza in aula è la modalità più democratica di vivere la scuola, perché garantisce a tutti pari opportunità.

– la qualità delle connessioni e il digital divide, elementi nuovi che contribuiscono fortemente ad aggravare le diseguaglianze: è impossibile rimuovere tutti gli ostacoli alla fruizione del diritto all’istruzione se non si introduce una buona connessione nelle zone meno raggiunte e più periferiche, né si riesce a dotare tutti gli studenti che ne avrebbero bisogno di dispositivi in comodato d’uso.

– il ricorso a piattaforme che secondo il Cidi (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti) impongono la subordinazione al “capitalismo di sorveglianza”. Possibile che Axios, che gestisce su base nazionale i registri elettronici, non abbia attivato una piattaforma efficiente come naturale prolungamento del RE? Se una piattaforma simile fosse stata disponibile, essa avrebbe reso la vita più facile a docenti e studenti, abbreviando il pietoso andare e venire da Zoom ad Eztalks passando per Hangout o Gotomeeting o Meet.

– la messa in rete, senza appropriata protezione e nel contesto di un’evidente inadeguatezza giuridica, di una massa imponente di dati, materiali, registrazioni e videolezioni, che sono esposti a qualunque tipo di manipolazione fraudolenta.

– il gigantesco compito di realtà (per utilizzare un linguaggio pedagogico particolarmente alla moda) imposto dalla carenza di competenze tecnologiche dei docenti poco formati, che sono tali anche per evidenti ragioni anagrafiche e per una tenace e a volte preconcetta ostilità verso la digitalizzazione.

– il ricorso in qualche modo quasi obbligato alla didattica per competenze, che è in forte discussione ma che è adatta alla didattica a distanza.

      Fatto il punto su queste problematicità, la vera partita si gioca sul dopo emergenza: far tesoro in modo intelligente di quest’esperienza di crisi non significa introdurre la didattica a distanza anche nei tempi di presenza; il guadagno, semmai, starebbe nel servirsi in modo più competente ed efficace degli strumenti digitali, integrandoli con maggior padronanza e consapevolezza nella cornice dell’aula, negli spazi e nei tempi della scuola dal vivo.

 

 

Antonella Fucecchi Rankoussi è docente di materie letterarie nei licei; ha 55 anni e vive a Roma

 

 

 

6 pensieri riguardo “Il ponte tibetano della scuola

  • 20/04/2020 in 5:16 pm
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    Grazie per la condivisione intanto e credo sia bello che chi sta vivendo questa situazione trovi la forza e la voglia di condividere con tutti le proprie riflessioni. Grazie soprattutto per l’ottimo lavoro di sintesi con il quale coglie, a mio avviso tutti, i punti problematici di questa fase.
    Condivido il fatto che questa didattica sia necessaria e che sia preferibile anche ad altre forme ipotizzabili, non trova tuttavia che con la logica dell’emergenza si stia normalizzando nello spirito del “meglio di niente”?
    Voglio dire i punti critici che lei solleva non sono certo piccolezze sono ingiustizie sociali.
    Inoltre metterei l’accento sull’aspetto affettivo-relazionale, la rete dei rapporti umani che si crea all’interno della scuola non è un piacevole accidente è, a mio avviso, il centro del senso della scuola.
    Questo, per altro, non lo affermo solo io, ma il concetto di competenza (giusto per continuare con il lessico di moda al Ministero e in Europa) affonda la propria ragion d’essere nell’ essere-con-gli-altri (dal latino cum-petere “andare insieme”,”convergere ad un medesimo punto”). Così come le competenze chiave di cittadinanza prevedono l’esperienza di contesti sociali significativi che educhino i cittadini di domani.
    Come è possibile che il Ministero scelga di non problematizzare queste questioni?

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    • 23/04/2020 in 5:24 am
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      Ho ricevuto questa mail proprio un paio di ore dopo che io al collegio avevo ribadito questo vuoto legislativo riguardo l’ uso delle piattaforme fuori dal contesto Axios,e dei pericoli di immettere immagini di minori in rete.Ciò mi rincuora e mi fa sentire meno sola,perchè sembra che adesso la videolezione sia un must,pur nelle condizioni di scarso supporto di un apparato di connessione ancora debole in Italia.E poi lasciatemelo dire: l’ assenza della scuola si deve notare in un mondo dove la figura docente è da tempo in declino,anzi vituperata,perchè sottopagata e quindi sottostimata in un mondo di neoliberismo imperante,dove se non guadagni abbastanza,significa che non produci abbastanza.Era il momento di farci sentire di più,invece sempre di chinarsi la testa e dare il cervello per questa DAD che ogni giorno ci costringe a stare al computer ore senza più neanche la tutela da stress correlato.Ma evidentemente ce la meritiamo.

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  • 20/04/2020 in 7:41 pm
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    Interessante riflessione sugli importanti motivi a sostegno della didattica a distanza in questa situazione e sulle criticità emerse; molto bella la metafora del “ponte tibetano”

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  • 21/04/2020 in 8:12 am
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    Impeccabile, come sempre. Un invito a non farci trovare mai più impreparati

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  • 21/04/2020 in 8:37 pm
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    Apprezzatissime e condivisibili riflessioni, per altro in parte simili a quelle espresse da Tomaso Montanari in un articolo apparso il 23 marzo nelle pagine del ” Fatto Quotidiano”. Premetto che la libertà di insegnamento è un principio irrinunciabile e fondante della nostra democrazia. In questi concitati giorni, mi sono spesso confrontato, scontrato con molti colleghi che a buon diritto e con qualche cautela hanno entusiasticamente abbracciato la cosiddetta “didattica a distanza”. Cosi come tanti, lavoriamo indefessi anche 12 ore al giorno, in condizioni esasperanti e con tensioni psicologiche non indifferenti. Non so personalmente fino a quando potrò reggere, mi confortano e consolano le mille faccine e cuoricini che mi inviano i miei alunni alla fine di ogni mia “strana” video lezione. Mi sento un po come il maestro Perboni del libro “cuore”. Entro nelle loro case, intimi rifugi, con delicatezza estrema chiedendo permesso. D’altronde ho fatto sempre così, anche nelle aule della scuola vera reale, in più di trent’anni di onesta carriera nella scuola media, guidato dal principio pedagogico etico che la scuola è il luogo, è il tempo della crescita umana e sociale dell’individuo, dove il sapere e la conoscenza prende forma e sostanza anche nelle emozioni condivise. Mi rattrista tanto incontrare sopratutto giovani docenti che si chiedono se sia giusto non mettere le assenze, se sia giusto non mettere i voti, c’è chi chiede e invoca persino provvedimenti disciplinari. Il controllo, la valutazione, la disciplina sono anch’essi momenti importanti della scuola, cosi pure impegno e fatica. Si cresce anche così. La scuola non è una fabbrica di bottoni e nemmeno una piantagione di patate, non è neanche il luogo della competizione, figuriamoci il luogo del “trapasso” con relativa pesatura del valore e della leggerezza dell’anima di egiziana antica memoria. Capisco, comprendo, mi adeguo e pero mi chiedo e vi chiedo, ma sopratutto in questo momento, questa è la vera scuola? La domanda che da sempre mi son fatto a cui non trovo risposta è: perché la scuola non dovrebbe essere anche il luogo del piacere, della bellezza, dell’incontro e della condivisione di interessi e della coltivazione delle affinità e delle empatie. Occorre fare, a mio modestissimo avviso, tutti insieme, una seria e profonda riflessione, giusto in questi momenti incerti e di crisi profonda, non solo sanitaria, ma anche di valori e di etica condivisa. Occorre mettere in gioco gli stessi paradigmi fondativi delle nostre società. Non sperare di tornare alla cosiddetta normalità. Sarebbe un errore catastrofico. Anche la scuola ha bisogno di profondissimi cambiamenti, non di facciata, come spesso abbiamo assistito in questi decenni di offuscante nebbia morale. Se c’è una emergenza oltre e aldilà di quella pandemica e l’emergenza di una crisi inesorabile di umanità.

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  • 22/04/2020 in 10:56 am
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    Quando guardo lo schermo del computer e vedo i miei ragazzi lontani e le loro emozioni indecifrabili, sono assalita da un’enorme tristezza. La scuola non è solo il luogo dove si comunicano saperi ma la crescita è accompagnata da una serie di attenzioni che per il momento sono sospese. Questa esperienza estrema ha allargato le nostre conoscenze tecnologiche, ci ha suggerito nuove idee ma ci ha reso consapevoli che l’apprendimento si fortifica nella condivisione quotidiana di sguardi, di emozioni, di spontaneità, di errori e di progressi. A scuola mi sento a casa non esito a mostrare i miei limiti, nelle video lezioni perdo la spontaneità mi sento ….a distanza

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