Il picco alle nostre spalle (ma lo sapevamo da un mese)

Il 21 febbraio, venerdì, mi raggiunge la telefonata di una mia vecchia amica, giornalista. “Maurizio, ma tu come la vedi questa storia del Coronavirus?” “Un’influenza, un po’ più cattiva.” “Si vede che non leggi i giornali. Sta per scoppiare l’apocalisse.”. Avevamo ragione entrambi, probabilmente. Proprio quel giorno 14 persone a Codogno e 2 persone a Vo’ Euganeo, a distanza di 200 km le une dalle altre, risultano positive al test. Fino a quel momento sembrava una cosa ‘cinese’: i due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani e un italiano rimpatriato dalla Cina. Basta. Tre casi in tre settimane. Ma le cose non stavano così.

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L’immaginario collettivo ai tempi del Coronavirus

Ci troviamo ad assistere negli ultimi tempi ad una esasperazione della militarizzazione del linguaggio. Penso al virus come nemico da combattere, ai medici in prima linea, all’echeggiare dell’inno d’Italia, alla pubblicità per l’arruolamento di volontari della Croce Rossa, al riferimento all’ora più buia di Churchill… Insomma, credo che ciascuno possa continuare la lista con gli esempi che preferisce. Durante le prime settimane di lockdown, quando l’Italia era ancora l’unico Paese in Europa ad aver deciso di impedire la mobilità dei cittadini se non per comprovati casi di necessità, circolava in rete un articolo, condiviso con me con le migliori intenzioni,

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Prevedibile e imprevedibile

Questa pandemia – guerra, calamità, crisi, sospensione, catastrofe? – ha spiazzato tutti. Sento dire: «era inattesa, apparteneva all’ordine dell’impensabile, del non immaginabile. Nessuno poteva prevederla, almeno in queste forme». Sgomento, orrore, terrore, angoscia dinnanzi a quanto di più inquietante e più perturbante poteva accadere sono del tutto giustificati, comprensibili; così come si può comprendere la difficoltà a capire, a intervenire, a combattere il virus. In questa autoassoluzione però si tende ad abbracciare anche il passato e si finisce per concludere che nessuno ha la responsabilità per quello che è accaduto. L’imprevedibilità diventa un alibi per evitare di capire quanto è successo finora e anche per evitare scelte di domani. Ma quanto è accaduto era davvero imprevedibile?

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Radicalizzare la quarantena

In un contatto – rigorosamente digitale – di questi giorni, un corpo amico in quarantena mi ha confidato una paura nuova, scaturita da questa condizione di isolamento: paura di avere un proprio tempo non più pubblico, senza compiti definiti, a difesa della propria incolumità, in qualche modo più libero ma, proprio per questo, inquietante. Condivido questa inquietudine, come credo molti di noi, e a partire da essa, consapevoli che potremmo essere approssimativi e poco lucidi, possiamo porci alcune domande sulla nostra condizione, sapendo che potrebbero rimanere senza risposta, così come i tracciati che apriremo senza poterli percorrere fino in fondo. Eviteremo le discussioni su non troppo definiti stati di eccezione, questioni mediche et similia, chiedendoci da dove proviene questo nuovo modo di vivere, di cui prendiamo atto, e se ci mostra qualcosa.

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La salute in tempi di emergenza e in tempi di normalità

L’importanza della sanità pubblica in tempi di emergenza da Covid-19, ma a maggior ragione in tempi “normali”, deve portarci a riflettere da un lato sulle origini storiche dell’istituzione che ne è più investita, il Servizio Sanitario Nazionale; dall’altro sulle trasformazioni che negli ultimi decenni hanno portato a una riduzione del welfare e dei servizi pubblici. I tagli alla sanità e al welfare sono stati uno degli elementi centrali della riorganizzazione del capitalismo in chiave neoliberale affermatasi a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Da tempo analizzati da una ricchissima letteratura,

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La piega del gomito

Dice bene il nostro Presidente Conte, stando a casa in quarantena si scoprono molte cose. La quarantena è un momento indubbiamente difficile per tutti, ma è anche un momento di raccoglimento, un momento sorgivo di nuove e arricchenti conoscenze. Una su tutte: la piega del gomito.
La piega del gomito è una parte del corpo che non conoscevo prima di questa quarantena. In realtà, devo confessare che il gomito stesso è una parte del corpo che ho sempre colpevolmente trascurato, considerandola solo la congiuntura nodulare di due segmenti di braccia.

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Dentro un’attesa surreale

Voglio prendere alla lettera il sottotitolo del vostro sito, e cercare di costruire un dialogo, una interlocuzione diretta, con alcuni tra i primi interventi che avete pubblicato su L’antivirus. Partirò dal denso testo di Carmine, che pone sul tappeto con chiarezza una serie di problemi di diversa portata, a partire dalla gestione della pandemia in corso. Al primo posto la questione sanitaria e dunque la necessità di tener conto oggi e in futuro, come lui dice, “della geografia e della storia” del nostro sistema sanitario, che – con la sua articolazione territoriale drammaticamente disuguale – decide della vittoria o della sconfitta della medicina sulla malattia. In discussione sono anche le decisioni governative per contenere la dinamica di espansione del virus, che hanno portato a una assolutizzazione del blocco totale della mobilità sociale.

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Ce la faremo. Politica, società ed economia ai tempi del Covid-19

Come in ogni momento di difficoltà, le classi dirigenti usano le crisi per ricreare quella comunità fittizia – ma dagli effetti assai reali – che è la nazione. Questa operazione serve a stabilizzare le perturbazioni che potrebbero mostrare il fondo vuoto su cui poggia la comunità nazionale – l’assenza di un’origine comune, l’inconsistenza dell’ideologia della cultura comune. Priva di fondamenti, questa comunità immaginata necessita infatti di continui miti mobilitanti. Negli editoriali, nelle interviste, nei discorsi pubblici, quasi tutti i relatori fanno riferimento alla tempra italiana, al carattere forte, allo spirito di sacrificio, al coraggio del popolo italiano che possono così tenere insieme chi dal diverso destino sociale è separato.

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Il fixing del contagio

La nuova chiusura di Wuhan ci conferma che il virus non si sradica, ma si mitiga, come ci spiegava Tomas Pueyo nel saggio più lucido ed esemplificativo di questa tragica stagione. L’obiettivo, scrive Pueyo, è quello di appiattire la gobba, per rendere gestibile e non più emergenziale la risposta sanitaria. Se questa è la prospettiva, ulteriormente allungata da quanto ci ha detto il Ministro della Sanità Speranza, che ci avverte che per l’arrivo del vaccino dovremo attendere nel migliore dei casi un anno, allora dovremo attrezzarci a convivere socialmente con la pandemia. Tutto dipenderà dal cosiddetto R0, erre con zero, che è l’indicatore che misura la contagiosità di un singolo portatore del contagio, anche se asintomatico. 

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L’ordine dei pensieri

Per persone simili a me, concedersi delle passeggiate e toccare gli esseri umani non è un lusso, ma piuttosto una necessità. Si potrebbe replicare che è una necessità per tutti, ed effettivamente credo che lo sia, ma voglio spiegarvi perché lo è per me. Nel mio caso infatti si tratta spesso di un lavoro, a volte involontario, ma necessario per guadagnare il mio mantenimento psicofisico. E come tutti i lavori al momento in difficoltà, anche questo soffre gravi conseguenze.

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